03 noviembre 2021

Elezioni in Nicaragua, la posta in gioco

Futuro per tutti o solo per pochi

Por Sonia Buratti | AltreNotizie

Tra venerdí 29 e sabato 30 ottobre, Twitter ha chiuso improvvisamente centinaia di account di attivisti nicaraguensi legati al partito sandinista che governa il Paese da circa 14 anni. Il giorno dopo, la stessa operazione è stata fatta da altri due colossi dei social network “made in Usa”, Facebook e Instagram, alla faccia della tanto decantata libertà d’espressione.

Il tentativo di “zittire” le reti sandiniste e permettere il dilagare di quelle dell’opposizione, che facendo uso soprattutto dall’estero di call center, piattaforme informatiche, profili falsi e fake news incitano all’odio e invitano a boicottare le elezioni del 7 novembre, è solo l’ultimo di una serie infinita di attacchi tesi a minare il futuro del progetto sandinista.

Lo schema dell’offensiva per sfiancare il governo Ortega, iniziata immediatamente dopo la vittoria elettorale del 2006, proseguita con il fallito colpo di stato del 2018 e mai sopita negli anni successivi, è piuttosto chiaro.

Temi come i diritti umani, i detenuti politici, la libertà d’espressione, l’autoritarismo dittatoriale, la mancanza dello stato di diritto e della necessità di recuperare e rafforzare la democrazia e la governabilità in Nicaragua, sono stati la leva su cui le opposizioni, i loro alleati internazionali e certi settori di una confusa sinistra europea e latinoamericana hanno fatto forza per minare la credibilità del governo sandinista, sia a livello internazionale che all’interno della sua stessa base sociale.

Creato lo scenario globale, inoculato il dubbio e toccate le corde giuste per generare progressivamente stupore, incredulità, delusione e rabbia, i passi successivi sono quelli dell’isolamento internazionale attraverso il disconoscimento del risultato elettorale e delle nuove autorità elette e l’applicazione progressiva di sanzioni economiche. In questo modo si punta a esasperare il malcontento della popolazione e rendere il Paese ingovernabile.

Insomma, la stessa ricetta, rivista e adattata ai tempi, già usata contro tutti quei governi non allineati con gli interessi di Washington, che promuovono idee alternative di convivenza e sviluppo e credono nella possibilità di nuovi meccanismi e strumenti d’integrazione regionale, alternativi a quelli promossi e controllati dagli Stati Uniti.

Quello che c’è in gioco

Il 7 novembre, circa 4,4 milioni di nicaraguensi saranno chiamati a votare per eleggere il presidente e vicepresidente della Repubblica e per rinnovare i 90 seggi dell’Assemblea nazionale e i 20 del Parlamento centroamericano.

Sono sette i partiti in lizza. Oltre al governante Fronte sandinista (Fsln) partecipano varie espressioni della polverizzazione liberale, tra cui il Partito liberale costituzionalista dell’ex presidente Arnoldo Alemán (1997-2001), il partito evangelico Camino cristiano (Cc) e l’indigenista Yatama. Eliminati dalla competizione elettorale per una serie di irregolarità il Partito conservatore (Pc), nel secolo scorso alter ego del Partito liberale, Cittadini per la libertà (CxL), dell’ex banchiere e più volte ministro e candidato presidenziale Eduardo Montealegre e il semisconosciuto Partito della restaurazione democratica (Prd).

Dopo il frustrato tentativo di colpo di stato del 2018, CxL e Prd avevano messo a disposizione  la propria casella alle due principali anime dell’opposizione: la Alleanza Cittadina (imprenditori, politici tradizionali del liberalismo, gerarchia cattolica, ex contra e gruppi universitari) e la Coalizione Nazionale/Unab (dissidenza sandinista, Ong, ex contra, gruppi contadini e universitari).

Esclusi anche vari personaggi, più meno noti, del mondo economico, politico e sociale nazionale che, in un certo momento, avevano espresso l’intenzione di presentare la propria candidatura e che sono attualmente in carcere, accusati di vari delitti che vanno dalla triangolazione di fondi, al riciclaggio di denaro, a delitti contro la società, la sicurezza e l’integrità nazionale. Altri hanno abbandonato il paese e sono latitanti.

Che cosa c’è in gioco, quindi? Non si tratta solo di elezioni dove, con tutta probabilità il presidente Daniel Ortega sarà nuovamente eletto per un quarto mandato consecutivo e il Fronte sandinista controllerà la maggioranza dei seggi in parlamento, ma di uno scontro tra un modello che in meno di 15 anni ha ridotto la povertà, ha redistribuito ricchezza, ha restituito diritti e ha fatto propri i concetti di solidarietà, cooperazione e complementarietà a livello nazionale e internazionale e il ritorno al passato della buia notte neoliberista.

I dati ufficiali del Consiglio supremo elettorale (Cse) dicono che il 49,4% degli aventi diritto al voto ha tra i 16 e i 35 anni, di cui il 9,2% vota per la prima volta. Si tratta di più di 2,1 milioni di potenziali elettori che non hanno vissuto la guerra e l’insurrezione contro la dittatura della famiglia Somoza, né i dieci anni di governo rivoluzionario (1979-1989) e la sanguinosa guerra d’aggresione statuitense e solo una piccola parte ha ricordi vaghi dell’epoca neoliberista. Un altro 19,2% ha vissuto buona parte di quei 16 tragici anni (1990-2006).

Questo vuole dire che quasi il 70% di chi potrà andare alle urne questo 7 novembre ha comunque pochi elementi di vita vissuta per mettere a confronto due modelli.

Ma vediamo quali sono i fatti.

Prima della crisi generata dal tentativo di colpo di stato, a cui è seguita la crisi sanitaria del Covid-19 e l’impatto di due uragani devastanti, la povertà generale era stata ridotta dal 48,3% al 24,9% e quella estrema (indigenza) dal 17,6% al 6,9%.

Dal 2007 a oggi sono stati costruiti 21 nuovi ospedali e ristrutturati altri 46. Sono anche stati costruiti 1.259 punti medici, 192 centri sanitari e 178 case materne. 66 sono le cliniche mobili realizzate con camion sequestrati in operazioni antidroga e riconvertiti. Nel 2020, queste cliniche hanno realizzato quasi 2 milioni di visite e distribuito medicine gratis.

Dall’inizio del 2021 sono state inaugurate più di 100 strutture sanitarie, tra cui 3 ospedali primari (Los Chiles, Quilalí, Minas El Limón). Altre 29 opere sono in costruzione, compresi 6 ospedali (Chinandega, Nueva Segovia, León, Bilwi, Matiguás, Wiwilí), i padiglioni per visite specialistiche a Trinidad e Rivas, la casa materna di El Viejo e i punti medici a Wawabar e Haulover nella Regione autonoma della costa caraibica settentrionale.

Parallelamente, in tutte le mense scolastiche del paese si assicura un pasto caldo al giorno ad almeno 1,2 milioni di bambini della scuola primaria. Questo programma contribuisce alla riduzione del 46% della malnutrizione cronica nei bambini di età inferiore ai cinque anni e del 66% in quelli dai 6 ai 12 anni. Il tasso di mortalità infantile è stato ridotto del 61% e il tasso di mortalità materna del 70%.

Nel 2003, la media dei nicaraguensi non superava i 3 anni e mezzo di istruzione. Solo il 30% completava gli studi primari. Oggi, la percentuale di giovani fuori dal sistema scolastico è scesa dal 24% al 4%, il tasso di promozione è passato dal 79% al 91% e la percentule di chi ottiene un titolo universitario dal 9% al 19%.

Uno dei problemi più annosi in Nicaragua è quelle dell’abitazione. Dal 2007 sono state costruite o ristrutturate 158 mila case e sono stati consegnati quasi mezzo milione di titoli di proprietà (235 mila agli uomini e 193 mila alle donne). Durante i 16 anni di governi neoliberisti ne erano stati assegnati meno di 10 mila. Un'area equivalente al 31% del territorio nazionale nicaraguense (più di 40 mila km²) è stata intestata a 314 comunità indigene a cui sono stati consegnati titoli di proprietà non trasferibili.

Nel 2007, l'80% dell'energia elettrica in Nicaragua era prodotta da fonti fossili. Attualmente, l’80% dell'elettricità è prodotta da fonti rinnovabili e la distribuzione dell’energia elettrica copre oramai il 99% del territorio nazionale (56% nel 2006). Allo stesso modo, nel 2006 l'accesso all'acqua potabile nelle aree urbane era solo del 65%, oggi è del 92% e si spera possa arrivare al 98% entro il 2026. Nelle aree rurali è passato dal dal 28% al 55% e l’obiettivo è di arrivare all’85% nel 2026.

In termini di aiuto finanziario alla micro, piccola e media impresa, si calcola in 548 milioni di dollari il credito concesso ad almeno 25.700 agricoltori. Sono circa 6.000 le nuove cooperative sorte in questi 14 anni che beneficiano 318 mila soci. Il risultato è che, attualmente, il Nicaragua produce il 90% del cibo che consuma.

Le piccole imprese, circa 24 mila, rappresentano il 70% dell'occupazione. Piú di 800 mila donne hanno invece ricevuto prestiti per 18 milioni di dollari all'anno, con un interesse annuo del 5%, per iniziare attività economiche.

Passi avanti anche in termini di pari opportunità e uguaglianza di genere. Secondo il Global Gender Gap Report 2020, in soli 13 anni il Nicaragua è passato dalla posizione 62 alla 5 su un totale di 153 paesi, riducendo il divario di genere di oltre l'80%. Il Nicaragua è al primo posto in quanto a salute e sopravvivenza, educazione e presenza delle donne nei ministeri. È invece al terzo posto per ciò che riguarda l’empowerment politico.

A questo potremmo aggiungere poi le sovvenzioni all'energia elettrica, gas da cucina e trasporti pubblici (il costo del biglietto autobus è immobile da 20 anni) e il blocco imposto recentemente agli aumenti di benzina, diesel e gas.


Dall’altra parte, invece, c’è “más de lo mismo”, cioè quei settori che hanno governato per 16 anni, impoverendo enormi masse di famiglie, privatizzando i servizi essenziali, saccheggiando le arche dello Stato, svendendo territorio e mano d’opera alle multinazionali, sottomettendosi ai diktat degli organismi finanziari internazionali e diventando una costola in più della geopolitica statunitense.

Visto così, il quadro non dovrebbe lasciare spazio a molti dubbi. Ciononostante e con un apparato mediatico internazionale pronto a delegittimare elezioni e nuove autorità e fungere da cassa di risonanza dell’opposizione e della voce di Washington e Bruxelles,  sarà importante per il governo sandinista e per lo stesso Ortega riuscire a convincere i nicaraguensi dell’importanza di partecipare al voto, ratificando nelle urne il sostegno a questa esperienza quasi quindicennale e al modello proposto.

In questo momento di forte polarizzazione politica e sociale, dove gli odi mai sopiti ed esplosi in modo inaspettato e brutale nel 2018 hanno fatto perdere al Nicaragua anni importantissimi sulla via dell’emancipazione e la restituzione dei diritti per milioni di persone, il riconoscersi come parte integrante di un progetto e di un’eredità storica in continua evoluzione diventa elemento imprescindibile, non solo per la difesa di ciò che si è conquistato, ma anche in vista di un possibile cammino di dialogo e riconciliazione.

Fonte: Altrenotizie