24 agosto 2022

Un vescovo in ginocchio, ma non per chiedere perdono

La gerarchia cattolica nicaraguense prima, durante e dopo la crisi del 2018

Magda Lanuza* | LINyM

Monsignor Rolando José Álvarez, vescovo cattolico di Matagalpa ed Estelí, è stato messo agli arresti domiciliari ed è indagato per “avere organizzato gruppi violenti per destabilizzare il governo”.

Il vescovo è stato uno dei leader cattolici coinvolti nel violento tentativo di colpo di Stato in Nicaragua nel 2018 e ha svolto un ruolo di primo piano nel “dialogo nazionale”, a cui il governo aveva aderito nel tentativo, poi fallito, di controllare la violenza dell'opposizione.

Il suo recente arresto è stato ampiamente pubblicizzato dai media di tutto il mondo, compreso il Washington Post, con scene di gente pregando in strada davanti a una fila di poliziotti.

- Qui potete leggere la versione in spagnolo e inglese

Tuttavia, una breve dichiarazione del cardinale nicaraguense Leopoldo Brenes e della Conferenza episcopale nicaraguense, Cen, ha chiarito che gli atti compiuti da Rolando Álvarez erano a titolo personale e non avevano nulla a che fare con il resto dei vescovi del Paese.

Perdono

Alla fine di luglio 2022, il Vescovo di Roma (il Papa) si è recato in Canada per chiedere perdono. Il motivo di questo gesto è che la Chiesa cattolica, insieme alle autorità canadesi, aveva attuato un piano per sradicare la cultura e il patrimonio di conoscenza dei bambini indigeni che frequentavano le scuole religiose.

Dal 1831 al 1970, migliaia di bambini nelle scuole residenziali (Residential Schools) gestite dai cattolici sono stati crudelmente puniti perché parlavano la loro lingua e conservavano i loro costumi, e molti sono morti. L'obiettivo era quello di “uccidere l'indiano nel bambino”, sterminando così la popolazione aborigena della nazione.

Di fronte ad atti così spaventosi, solo il Papa ha chiesto il perdono dell'umanità.

Un comportamento (crudele) simile a quello adottato in Canada può essere riscontrato nella gerarchia della Chiesa cattolica in Nicaragua, composta da vescovi che, ignorando le sofferenze del popolo, hanno messo storicamente al primo posto i loro interessi e le loro ambizioni di potere politico.

Chiesa alleata del potere

Nel 1934, i vescovi dell'epoca consigliarono ad Augusto Sandino di deporre le armi, assicurandogli che tutto sarebbe andato molto meglio se lo avesse fatto. Lo stesso giorno, la Guardia nazionale assassinò questo leader popolare, che aveva cercato di migliorare le condizioni di vita del popolo e garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei contadini.

La gerarchia cattolica ha sostenuto la famiglia Somoza durante i quasi 45 anni della loro dittatura. Solo due anni prima della rivoluzione sandinista (1979), alcuni esponenti della gerarchia si schierarono timidamente a favore della liberazione del popolo. Ma, naturalmente, a quel punto nemmeno l'ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, appoggiava la dittatura di Somoza.

Durante il decennio della Rivoluzione (1979-1990), la gerarchia cattolica si alleò con l'impero per rimuovere il sandinismo dal potere. Nei primi tre anni, i vescovi si impegnarono a ripulire le parrocchie da ogni traccia della Teologia della Liberazione e dell'eredità del teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, che nel 1972 aveva proposto di dare priorità ai poveri, in accordo con la Conferenza di Medellín del 1968.

Come parte della loro crociata, la gerarchia preparò l'arrivo di Giovanni Paolo II a Managua nel 1983. In Nicaragua c'era uno slogan: “Tra cristianesimo e rivoluzione non c’è contraddizione”, quindi l'obiettivo principale della visita del Papa era quello di disciplinare i sacerdoti rivoluzionari del Nicaragua, che stavano lavorando per una società più giusta dall'interno del governo.

Successivamente, i vescovi nicaraguensi accolsero con favore la promulgazione, nel 1984, da parte dell'allora cardinale Ratzinger, del documento “Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione”.

Il documento della Sacra Congregazione per la dottrina della fede censurava questa teologia, che si stava affermando in America Latina. La maggior parte del clero dell'epoca abbandonò i propri fratelli sacerdoti e sostenne la punizione inflitta loro, molti dei quali morirono ancora sotto questa censura.

Nel 2007, con il ritorno del sandinismo al potere in Nicaragua, è stata proposta una tregua e sono state fatte concessioni al clero. Tra le altre cose, il governo ha investito nella ristrutturazione, nella costruzione e nell'abbellimento di chiese e cattedrali, nonché di piazze e parchi davanti ai templi cattolici, il tutto fatto in buona fede, dato che i sandinisti sono cristiani devoti.

Tuttavia, nel 2018, i rapporti con il clero sono nuovamente peggiorati in modo drammatico. La gerarchia cattolica ha guidato e partecipato apertamente alla violenta rivolta che ha cercato di rimuovere il sandinismo dal potere. Il ruolo che hanno avuto in quei giorni è più che dimostrato dalle prove pubblicate nella relazione preparata dal Nunzio Apostolico, inviata poi al Papa.

In linea con quanto fatto nel 2018 e con la realtà storica della Chiesa cattolica in Nicaragua, la scorsa settimana il vescovo Rolando José Álvarez è apparso in ginocchio in pubblico davanti alla polizia.  

Questo vescovo di due diocesi, Matagalpa ed Estelí, importanti roccaforti sandiniste, ha esclamato con emozione di essere perseguitato, gridando con la figura di Cristo in mano. È interessante notare che in questa zona ci sono sette stazioni radio religiose gestite da questo vescovo.

Prima del 2018, i media religiosi godevano di esenzioni fiscali, ma questi privilegi sono stati revocati e questa è la radice dello spettacolo messo in scena da Álvarez.

Naturalmente, quando si esamina la storia della chiesa, si scopre che questa istituzione è stata riluttante a dichiarare i propri introiti, nonostante raccolga considerevoli entrate dai suoi parrocchiani. La gerarchia ecclesiastica si oppone alla dichiarazione e al pagamento delle tasse, obblighi che qualsiasi cittadino onesto assolve.

Ma la teologia della liberazione continua a vivere e a progredire nonostante il clero nicaraguense.  

Teologia della liberazione

Nel 2015, durante la celebrazione del 50° anniversario del Patto delle Catacombe, firmato nel 1965 a Domitilla, in Italia, Papa Francesco ha detto a Jon Sobrino, uno dei più grandi teologi della liberazione, di “continuare a scrivere”.

Nel contesto odierno, è un'estrapolazione inaudita e antistorica che il vescovo Álvarez si paragoni (come ha fatto) al grande santo Oscar Romero, martire dei poveri e degli oppressi di El Salvador.

La Chiesa cattolica in Nicaragua è molto indietro rispetto a tutte le altre chiese dell'America centrale in termini di impegno reale con la popolazione.

Quindi, possiamo anche continuare a ripetere: amen, amen, preghiamo per la Chiesa in Nicaragua. Ma è una Chiesa scollegata dalla realtà e senza memoria storica. E, come dice la canzone (“No basta rezar” Los Guaraguaos), “non basta pregare, ci vogliono molte altre cose per raggiungere la pace”.

Sono davvero necessarie molte altre condizioni per raggiungere la pace.


*Magda Lanuza è una sociologa nicaraguense che da oltre 25 anni si occupa di sviluppo sostenibile in Nicaragua e in America Centrale.